Vivere ad un piano alto riduce la probabilità di sopravvivere ad attacchi cardiaci
Secondo quanto è emerso da uno studio condotto da ricercatori canadesi, vivere ad un piano elevato di un edificio comporta un incremento della probabilità di non sopravvivere ad un attacco cardiaco.
Va detto che gli edifici di riferimento sono i grattacieli tipici delle metropoli, dove il numero di grattacieli diventa sempre maggiore e sempre più persone vi vive o lavora. Il problema è che però i grattacieli comportano delle peculiarità che possono rappresentare un grosso ostacolo per i soccorritori in una eventuale emergenza, e questo può diventare estremamente critico qualora un soggetto sia stato colpito da arresto cardiaco, un evento nel quale la rapidità di intervento è assolutamente determinante avere probabilità di sopravvivenza.
I ricercatori hanno analizzato i dati relativi alla città di Toronto, verificando gli interventi di emergenza effettuati in seguito ad arresti cardiaci tra il 2007 e il 2012. Nel periodo, sono stati conteggiati 7842 casi, in cui il 76,5% (5998) la vittima era in un piano compreso tra il piano terra ed il terzo piano, mentre il 23,5% (1844) la vittima era ad un piano superiore al terzo. Il tasso di sopravvivenza risulta quasi dimezzato: chi è stato colpito da arresto cardiaco entro il terzo piano, è sopravvissuto nel 4,6% dei casi, mentre chi era ad un piano più alto solo nel 2,6%. E’ degno di nota il fatto che il piano risulterebbe più determinante di altri fattori quali l’età del soggetto o anche il tempo di risposta dei servizi di emergenza.
Andando a guardare a piani più alti, le probabilità di salvarsi si riducono ulteriormente: solo nello 0,9% dei casi si è salvato qualcuno colpito da arresto ad un piano superiore al 16°, e assolutamente nessuno sopra il 25°.
La conclusione dei ricercatori è scontata: nelle grandi città è necessario mettere a punto nuove modalità di intervento nei grattacieli, in modo da incrementare le probabilità di salvare la vita di persone che si sentissero male al loro interno. fonte
Va detto che gli edifici di riferimento sono i grattacieli tipici delle metropoli, dove il numero di grattacieli diventa sempre maggiore e sempre più persone vi vive o lavora. Il problema è che però i grattacieli comportano delle peculiarità che possono rappresentare un grosso ostacolo per i soccorritori in una eventuale emergenza, e questo può diventare estremamente critico qualora un soggetto sia stato colpito da arresto cardiaco, un evento nel quale la rapidità di intervento è assolutamente determinante avere probabilità di sopravvivenza.
I ricercatori hanno analizzato i dati relativi alla città di Toronto, verificando gli interventi di emergenza effettuati in seguito ad arresti cardiaci tra il 2007 e il 2012. Nel periodo, sono stati conteggiati 7842 casi, in cui il 76,5% (5998) la vittima era in un piano compreso tra il piano terra ed il terzo piano, mentre il 23,5% (1844) la vittima era ad un piano superiore al terzo. Il tasso di sopravvivenza risulta quasi dimezzato: chi è stato colpito da arresto cardiaco entro il terzo piano, è sopravvissuto nel 4,6% dei casi, mentre chi era ad un piano più alto solo nel 2,6%. E’ degno di nota il fatto che il piano risulterebbe più determinante di altri fattori quali l’età del soggetto o anche il tempo di risposta dei servizi di emergenza.
Andando a guardare a piani più alti, le probabilità di salvarsi si riducono ulteriormente: solo nello 0,9% dei casi si è salvato qualcuno colpito da arresto ad un piano superiore al 16°, e assolutamente nessuno sopra il 25°.
La conclusione dei ricercatori è scontata: nelle grandi città è necessario mettere a punto nuove modalità di intervento nei grattacieli, in modo da incrementare le probabilità di salvare la vita di persone che si sentissero male al loro interno. fonte
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